domenica 9 dicembre 2007

sono passate molte notti.
non saprei nemmeno dare ad ognuna di loro un numero, ma certo saprei dare loro un nome.

dopo la mia riappacificazione con il tempo, ho cominciato ad lavorare lo spazio.
e casa mia, immensa, dalle mura abbattute, ha finalmente guadagnato uno spessore sostanzioso e tuttavia segreto.

sono stata sola in  mezzo al silenzio umido, con vastità attorno grandi come l'universo di una formica e ho pensato che ero al sicuro. Potevo cantare per ogni mattonella lucida a voce alta e nessuno si sarebbe lamentato.

Ho fatto conoscenza con la luce aranciata che diventa reale solo qui, dove vivo io, e ho abituato gli occhi ad amarla e riconoscerla tra mille.

Non mi ero mai sentita così al sicuro, regina del mio guscio di noce anche se chiusa nell'infinito.


Queste strade, questi segmenti irregolari che sfregiano la perfezione del quadrato. Queste case secche e torte che non si arrendono mai al tempo che passa. Queste ampie boccate di storia antica che ti sporcano gli occhi di panna e melassa solo a pensarci. Ora tutto questo non solo mi appartiene di più, sotto contratto migliore, ma mi ha accettata come amica sussurrando ogni notte che non fa mai abbastanza freddo per non uscire e abbracciarlo.

Ed è un richiamo così naturale ed animalesco che stenti a credere venga da cose senza anima. Devono essere per forza fantasmi, eccome, fantasmi e spiriti di persone che hanno messo la stessa passione nel vagare come nuvole nebbiose negli intestini più caldi e privati della mia città. E' un richiamo a cui non so dire di no.
E niente lo ferma. Il caldo lo dilata e la pioggia lo fa brillare. Il freddo lo rende lucido e pungente e la condensa lo copre di rugiada, lasciandoti sempre con una sete inestinguibile.

Al di là dei visi, delle commedie a cui ho assistito e partecipato. Al di là dei vizi che tentano leccandola ogni mia nuova scoperta. Al di là delle cose che credevo di conoscere e non mi stanco mai di scoprire nuove, c'è un trionfo opulento di marmo e pietra nobile che con la sua voce di bronzo ha per sempre deflorato ogni mia passione, rendendomi inebriata e succube di questo odore, di questo cielo ghiacciato.

La notte e la città coalizzate in un freddo avvinghiare.
Una zampa di gatto che non ritrae le unghie posandosi sul cuore innamorato, ma lo penetra lentamente lasciando rivoli di malinconia rossa dopo aver accarezzato.

Questa è casa mia. Qui è dove vivo.




sabato 22 settembre 2007

e così hai deciso di cambiare.

mi ricordo sveglia alla stessa ora, con gli stessi odori addosso. lo sguardo c'era, e anche le mani pressappoco. avevo voglie diverse che conducevano ad identici progetti.
non sentivo il tempo però. solo una corrente fastidiosa che cercava di alzare polvere. un'imprevisto nella mia indecisione.

ora il tempo mi fa compagnia. è diventato un compagno sorprendentemente amico nelle situazioni sbagliate. cambia le persone e le montagne, appassisce i fiori e fa scendere la nebbia nella campagna inglese.
è lì che devo andare. ad incontrare il tempo.

vorrei, come un cavaliere, arrivare in un ritmo di foglie secche diviso nei quattro quarti degli zoccoli. fermarmi poi, con sguardo da cowboy, e fronteggiare il bianco artificiale creato intorno a me.
gli alberi radi sarebbero le colonne di un tempio, e il mio fiato condensato il fumo dell'incenso sacro.

vorrei guardare con occhi da texano di ghiaccio il suo regno opaco e ovattato.
accenderei forse una sigaretta, per dare più effetto. le mani in tasca a non curarsi di produrre o dare spessore alla mia espressione. sarebbe un lungo guardarsi negli occhi, tra gli spruzzi di neve e le macchie marroni. tra un pugno di colore del giubbotto all'immenso muro di latte vaporoso che cerca di annientarlo.

e affronterei il tempo, gli direi.    gli direi niente.    non ho niente da dire.      gli farei capire con uno sguardo che non ho paura. che l'ho addomesticato e mi sono lasciata addomesticare.
che mi arrendo a quello che sono, così come mi ha fatta la natura.
che il mondo alla fine ci gira intorno, e io con lui voglio ballare, volteggiare.
danzare il valzer, la mazurca, la quadriglia di tutti i popoli, e conservare sempre le ultime note per lui. annuire con il vago sorriso di chi si è arreso. di chi ruoterà piano piano alzandosi e abbassandosi come le trottole a stantuffo, che mi piacevano tanto fa.

capirebbe che mi sto concedendo senza essere puttana. che per amore materno il mio viso sarà suo.



respirerei poi la sua risposta assente.      gli eterni ascoltano ma non parlano.

nell'andare via, abbasserei lo sguardo solo un attimo. come per prendere fiato e mostrarmi tuttavia vulnerabile.
poi batterei il cavallo, e dalla parte opposta, me ne andrei al passo.

gli occhi gelati come gli alberi tornerebbero ad abitare il texas.
il mio corpo consapevole tornerebbe ad abitare la costa.
to the sea. to the sea.


dopo il gatto e le quattro mura, ecco il mio sogno sul blocchetto.
in questi casi, per marcare le cose fatte, utilizzate sempre la V di spunta, e mai il frego sulla parola.




ed è bello pensare che l'inghilterra non sia un complotto dei cartografi.



to the sea, to the sea,
gulls white are crying.
the wind is blowing
and the foam white is flying.




 

sabato 4 agosto 2007


apre la gola, vedi i colori? il movimento lento e rallentato delle labbra che si schiudono e quindi si tirano in un ovale rigido. mostrano la lingua sottomessa al flusso di fiato.
un canto fucsia scuro sale verso il cielo blu di una stanza chiusa. forse è un urlo, lo direi dal viso deformato nei tratti anni ottanta. i capelli non si capiscono. potresti dire qualsiasi cosa di loro, non ci interessano al momento. un giorno qualcuno mi metterà in una tavola. solo allora dovrò preoccuparmi dei capelli.
i pugni tesi indicano uno sforzo nello stringere aria, ma sebbene le sopracciglia siano crucciate non c'è segno di dolore. dagli occhi escono gocce che io direi saliva, ma forse è solo colpa del sottopagato disegnatore nella mia mente.
è un urlo di pace. un canto solido di liberazione.

si inseguono tutti, qui.
stanno appaltando la realtà per far loro spazio.

muse a non finire mi portano sempre, sempre, sempre indietro. e resto nella battigia del sonno, del sogno e magari del pensiero razionale.
ho smesso di provarci forse.

ho visto molti sogni. vividamente tanto da non sapere aprire gli occhi la mattina. la testa ingombrata dai camion rimbomba di eco innaturali, amplificate.
voi mi state chiamando. siete voi che mi chiedete di farlo. questa è la conclusione.
tutto ribolle nella pozza amniotica, è rosa e ritmata, cadenzata secondo necessità a cui non so rispondere. mi portano a tirare verso l'alto il centro del mio petto. inarcando la schiena fino a saldare tra di loro tutte le vertebre, per cercare dio direttamente con i polmoni.

e ancora siete voi. uomini e donne blu, neri, azzurri. chiodi vitali con occhi rivolti altrove.
le mie mani sono grandi e secche, rastrelli per il mondo che non riescono ad afferrare tutto quello che scorre loro sotto, attraverso.

e la mia sicurezza sta qua.
quel mondo affollato non riesce a rapirmi, perché ogni volta che mi ci portate, qualcuno di nuovo mi chiama fuori solo per prendermi la mano e rispingermi dentro.
in questa testa che mai avrei detto creativa, ma che è una esistenza intera che sintetizza voi e trabocca me, camuffata in nuovo stupore.

e ogni volta che vedete le mie finestre nuove, aperte o chiuse
ogni volta che sorridete o sgranate gli occhi
imparate a guardare meglio:
è tutta roba vostra.

non vi dirò grazie, ma questo è il mio consiglio:
cominciate a meravigliarvi dell'esistenza di voi stessi.

io resto una macchina in rodaggio, che prende materia e soffia vita.
ed è questo che voglio fare.











dedicato a max, gabriel, marco e due volte marco, gianluca, ire, mari, vale una volta per due, syl, ambra, ed II, ange, vin, trj, fede, fra e due volte fra, neil, will.


martedì 10 luglio 2007

odore di pesca. dove mi porta?

come faccio a sbloccare ogni lucchetto con il suono e a chiudere ogni cassetto con l'indifferenza?

e l'odore di pesca. l'odore di pesca mi porta in un posto che io ho cancellato.
e ora vago qua dentro senza capire dove sono, senza vedere i mostri che ho nascosto con cura in un giro di chiave.

ora vorrei scrivere di cose piccole.
di mani, di occhi, di sigarette.
di abbracci, di unghie.
di erba.
di gioco, di torte.

di voci.

di parole.


di dialetti.




vorrei scrivere di quell'unica tra tante. frase che mi porto dietro in un mondo che vivo tra le dita, sui tasti, nella mente.
di come mi sia rimasta attaccata, come la favola del corvo, e martelli gli occhi che la leggono con ansia di essere capita. di essere impressa per sempre.
e lo è. da sempre.
seppure ho piegato in sacchi invernali la voce che la cantava, allo scendere della prima neve.


vorrei parlare ancora dello stesso treno del cazzo.
delle stesse cazzo di cose.
delle stesse maledette stronzate importanti che mi svegliano per un attimo da tutto questo sigillare ed incartare.

vorrei scrivere. saprei farlo bene.


ma non ne ho voglia.



preferisco guardare lune blu rabbrividendo mentre sotto i denti tengo il cuore di un'aragosta viva. non andare mai a capo e disintossicarmi strizzando le mie braccia. sbattere tavole della legge sul cesso e contare i pezzi in cui si rompono. usare la parola selvaggio più volte che posso. sputare per terra e schiaffeggiare visi distanti. chiudere gli occhi e mandare a cagare la mia migliore vita appiattita contro il muro di quella villa, mentre penso alla potenza che avrebbero le mani, gli occhi, le unghie, le sigarette, gli sguardi, l'erba, le urla.
le voci.

le parole.


i dialetti.


se solo fossero descritti da me.


ma non ne ho voglia.
e sniffo pesche serrate in qualche stanza buia del mio vaffanculo.



martedì 15 maggio 2007

allāhu akbar!

lui echeggia dappertutto come le preghiere orientali
ruota intorno a questi mondi come i ballerini delle danze sufi
la sua larga gonna bianca è cielo e terra
ruota del fato e volta stellata.
visita i sogni e gli occhi disillusi, si infila nelle narici come un vento caldo
e viene da città bianche, da archi smeraldo e immensi, da profumi speziati e dolci al miele.
allāhu akbar!

sembra come quando il paese era vuoto
il giardino silenzioso si immergeva nel sole alto, cocente, delle prime ore del pomeriggio.
un solo grido, ripetuto di casa in casa, di stanza in stanza.
di famiglia in famiglia.

ašhadu an lā ilāh illā allāh!


e gli odori, sì, erano ben diversi,
ma lo stare fuori quando tutti erano in quel mistico ritrovo, credo fosse lo stesso.

ašhadu anna muhammadan rasul allāh!

osservavo le finestre pallide e luminose
accecare il mio sguardo malizioso e cuocere i miei capelli scuriti
ci avrei scommesso che quel grido l'avrei potuto sentire.
lontano.
proveniente dalle terre a sud.
hayya alā al-salāt!
hayya alā l-falāh!


il richiamo che echeggia dappertutto, che arriva alle donne velate dagli occhi dipinti, agli uomini prostrati a levarsi le scarpe, un ripetersi dello stesso canto ancora e ancora
fino a che tutti non lo avevano tra le labbra e nella gola.

allāhu akbar! allāhu akbar!
lā ilāh illā allāh!



il richiamo che echeggia.
lo sento di nuovo, così forte da cullare il mio sonno come se fossi ubriaca in discoteca.
è lui quel richiamo. parte di quel richiamo. parte da quel richiamo.
la memoria si abbandona ad ogni violenza
e sotto sedativo
apre le gambe
e si lascia stuprare con un sorriso.



« allāhu akbar! allāhu akbar!
ašhadu an lā ilāh illā allāh!
ašhadu anna muhammadan rasul allāh!
hayya alā al-salāt!
hayya alā l-falāh!
allāhu akbar! allāhu akbar!
lā ilāh illā allāh! »



giovedì 3 maggio 2007

take me disappearin' through the smoke rings of my mind

down the foggy ruins of time, far past the frozen leaves

the haunted, frightened trees, out to the windy beach
far from the twisted reach of crazy sorrow


to dance beneath the diamond sky with one hand waving free

silhouetted by the sea, circled by the circus sands

with all memory and fate driven deep beneath the waves





21
E' forse divertente coincidenza che proprio a questa piccola soglia mi sia fermata, prima di varcare, a chiedere consiglio.
E i minuscoli oracoli del presente odierno mi hanno risposto con parole sagge, incredibilmente sagge.
La verità è dentro di tutti, questo mi diceva la pioggia.

E nella ricorrenza non trovo motivo di tirare somme.
Ho indagato il mio ennesimo tentativo di ascesi nella quotidianità, trovandolo tutto sommato degno di nota, di scusa, di interesse, di merito.

E forse ho realizzato la cosa migliore: la pace di questo cambiamento formale.
Ho gli occhi aperti sulla stessa finestra di mondo grande, aperti ed enormi. Sento lo stesso cielo scendere su tutti noi, in un abbraccio di empatia costante.

Le antenne si elevano oltre ogni condensa, percependo i suoni di battiti lontani. I sogni si risvegliano sfregandosi gli occhi come sirene circondate dalla luce, e troneggio da questa torre bianca sulla vita, ancora così circoscritta nella bolla opaca dell'esperienza.

E anche alba e tramonto perdono piano piano ogni senso, ogni ombra negativa mentre si alternano sul mio petto.
Invincibile è chi invincibile si sente.

Sorrido al riflesso, gli stringo la mano. Una pacca sulla sua spalla di vetro, di quelle che fanno ridere noi, di quelle che non vorremmo mai ricevere.
            E gli auguro un buon compleanno.



» I slowly yield the light
dancing through the night above their beds                             

throw the shutters out agaist the wall «




and from an ivory tower hears her call
« let light surround you »




domenica 29 aprile 2007

it's a lot
it's a lot
it's a lot
like life
we call it: master and servant






ogni cosa tende al suo naturale utilizzo.

se hanno creato le cose c'è una ragione, e va rispettata.
o almeno di solito è così.
di solito ci fanno credere che le cose stanno così.

a fanculo gli artisti no global che fanno le statue di lattine
e quelli che suonano i tamburi di pentole e riproducono il partenone con le forchette di plastica

ogni cosa, la vedi, ha uno scopo.
e tanto basta, finiamola con la creatività.



ora guardami, e fai quello che ti viene in mente.
fai di me quello che sono destinata ad essere.



e il pensiero comune si scontra con il senso comune
e l'istinto comune si scontra con la realtà comune.

la risposta è sbagliata.
la verità è che mi state tutti sul cazzo, che facciate giusto o no.

la verità è che mi contraddico nel momento in cui i miei più segreti impulsi sono specchio di rivelazioni psicoanalizzabili come grosse stronzate a proposito di me.




lasciatemi tendere alla verità.


la verità è bellezza,
e io sono una gran figa.


   with you on top and me underneath                                        
forget all about equality                            
let's play                                      master and servant!




it's a lot
like life.






martedì 3 aprile 2007

ho vinto contro il tempo e contro la memoria

ora ho le mani piene, piene, piene di oggetti
ho la mente piena, piena di ricordi

ho foto, filmati, immagini, video
ho sensazioni, sapori, esperienze tattili, odori.

ho i suoni, sopratutto i suoni
ho una nota bassa e calda che scuote i polmoni
che scende sul cuore come melassa

ho il sale sulle guance
la seta sul viso
la leggerezza nelle mani
la forza tra le dita.

ho il sole negli occhi
ho la luna tra le sopracciglia e l'anima
ho il sorriso che si piega, come un albero, solo da un lato
ho il silenzio carico delle pause vitali.

ho i gesti e ogni disegno tracciato nell'aria.
ho l'attesa
ho l'arrivo
ho la partenza
ho le abilità, il caffè, le storie.

ho il metallo che schiocca e la fiamma che si accende
ho i sogni
ho l'imbarazzo puerile e la spavalderia degli adulti
ho gli auguri, le promesse non fatte.
ho le speranze tradite
ho le speranze alimentate.
ho altre speranze che scendevano dal cielo.

ho vinto tutto questo.

ma ora, cosa ne faccio?



non è stato un gesto saggio
eppure
lo rifarei.



so be . be mine .


venerdì 30 marzo 2007

Ne sento ancora la mancanza.
è come un filo di me che viene strappato dal centro del mio cuore.
una vena tirata via, come farebbe l'incubo.

Non credo di ricordare abbastanza
eppure quell'ala piumata
nera, che mi sfiora il viso
la sento ogni notte di nuovo.

Perdo il senso delle parole
immersa in un mondo a metà
le mie mani si muovono in fretta
per creare nuove strutture

Solo per non osservare
il buio, immenso, buco
lasciato al posto di quella alta cattedrale.

Solo per non pensare
che non avrò le stelle che ho contato fin ora.

Respiro a fondo l'anima del mondo
monossido del mio respiro
odore di tempo stagnante
sulla saliva che ho tra le labbra.

I versi scivolano
senza richiesta
E chiudo la mente
dietro a un disegno.



«   And I cry, to the alleyway
Confess all to the rain    »




domenica 25 marzo 2007

Cerco di lasciare spazio al tempo, e di lasciare al tempo lo spazio di agire.

Credo di aver avuto cosa desideravo, ed ora non resta che tagliare.
Come in un film.
Tagliare.


Per quanto faccia finta di nulla, anche questa volta qualcosa ho sbagliato. Ed è giusto che nessun'altro ne paghi, a parole è molto giusto.

Avverto i miei passi muti, come ovattati dal terreno morbido sul quale cammino. Tra le mani le manciate di sabbia prese, da queste dune, scorrono verso terra alzando al mio passaggio la polvere gialla della memoria. Davanti agli occhi ho dei monti. Una catena di monti che disegnano un profilo umano. Di uomo che dorme.
So che alla prossima alba tutto cambierà, le montagne si muoveranno e il deserto porterà il mio cammino dritto a curvarsi, senza che me ne accorga, verso un'altra visione di meta. Un miraggio di arrivo.
Guardo quel profilo di roccia cambiare, e so che posso piangere o diventare roccia.

Ho provato a piangere, ed è tempo di essere roccia.


Non doveva finire così. Il vento mi scherza intorno confondendomi i pensieri.
Fantasmi seminati sulle scale, in casa.
Ricordi distorti, pezzi di puzzle diversi che si incastrano tra loro.

Respirerò la pressione bassa di questi giorni, così a fondo da farmi girare la testa.
Un terzo Aperol, un terzo prosecco, un terzo acqua tonica.






There are no mistakes in life.






venerdì 23 marzo 2007


She never said nothing; there was nothing she wrote.
She's gone with the man in the long black coat.


Edward.

It's a web of images that I'm trying to build. That's my race against time, before time will steal me even the only choice I have.

And in the end
He lulled my heart.
Every vibration of that voice was a step to reach a dream.
Rock myself to sleep and yet I was crying for the warm joy that he gave me. Hurt by the perfection that pierces my senses.

I'm gone with the man in the long black coat.


And so that's my gain. While this little fox is weeping let me explain you every second of life that I breathed. Let me count how many heart beat you made me miss.

First, clear eyes. High stare.
Every ray of light falls in those bright mirrors, get sucked and eaten by his look. He has stolen every color of the water, of the earth, every reflection of the world is stuck in his absorbed glance.
I've been trapped too
when I saw my amazed face looking at me
from the green and gray landscape of his charming eyes.


Than hands.
Thin. Pale. Nimble. Weightless.
Gentle as a mage gesture should be. Light as a sleeping butterfly.
His fingertips were conducting electricity right through my body. I know that you know.
I know that silence filled with the footsteps on the stairs. I know what I saw, and it was almost nothing.
I should know where I was, and it was almost sure.
I know where my mind was, and I can say it for sure, it was in your pocket with our hands.


And than again his voice.
The sun on my face, violating my sadness, and his kind answer to my request.
And summertime did came on me, whispering this old old tale through the cotton fields.
I spread my little wings and took the sky. Nothing could harm me.

"Why search for magic?", I thought.

He had enough magic to charm and catch a crowd of people that didn't even understood his language. He was the failure of Babele's Tower.
He made God envy us just by saying so.

The pilgrim that I met moved me to tears. His warm speech taught me to be proud because someone, there, is proud of me.
His tales and his myths, his novels and his fables, every little story brought my soul away from that tiny intimate kitchen to the doors of NeverWhere.

And every time my heart ceased to beat, I didn't feel pain at all.

And than I saw the Angel.
Something beautiful, someone lying on my pillow.
No words for what I realized. The dark mark on his back, the thin and never fragile structure of those arms, the line of the neck and the silent profile drawn by light. I saw him ready to open his white, wide, wings. And now you know: I laughed just to don't cry.


I sank my cold fingers in the depths of my mind, and I found peace. Soft as only a cloud should be.
I can still hear that song twisting something inside of me, I still think about tarots and their moons, I still feel his strength blowing away my doubts.

But I still have your face printed in my eyes.
I'm trying to win, this time.

Remember to dare, to be brave, to catch the day.
Squeeze your journey, drink its life.

And have no fear. I still think that you are blessed.



It ain't easy to swallow, it stick in he throat,
But I'm gone with the man in the long black coat.





And when the hour of his departure drew near--

"Ah," said the fox, "I shall cry."

"It is your own fault," said the little prince. "I never wished you any sort of harm; but you wanted me to tame you . . ."

"Yes, that is so," said the fox.

"But now you are going to cry!" said the little prince.

"Yes, that is so," said the fox.

"Then it has done you no good at all!"

"It has done me good," said the fox, "because of the color of the wheat fields."






Farewell.


mercoledì 28 febbraio 2007

Ormai credo che mi abbiano posata qui e abbandonata.
A volte passano, mi spolverano, mi lustrano e mi curano, come il gioiello che sono.
A volte invece mi nascondo dietro un niente, e mi faccio dimenticare.

E' possibile che il tempo si divida tra pensiero ed azione?
Ed è possibile che più tempo passo a pensare, meno tempo ho per agire?

Sento i granelli di polvere posarsi sulla mia testa, sulle mie spalle.
Sento le ossa bloccarsi nell'immobilità totale.
Sento le voglie svanire, una per una. Posarsi a terra lentamente come le foglie che cadono dagli alberi. Posarsi e piano piano scomparire.
Sento la mente ribollire ed eruttare. La sento crescere rigogliosa di piante dalla linfa inconsistente.

Vi prego.
Trasportatemi sul picco di una montagna.
Un solo trono, un libro che racconta una vita.
Ed io farò questo e questo soltanto, accogliendo gli eremiti come fratelli, sorelle e amanti.
Scaldandoli accanto a me prima di lasciare lo spazio per la discesa a chi ha il coraggio di intraprenderla.




Cognizione di suono

Ora come Ora..
Silenzio.



venerdì 9 febbraio 2007





I couldn't tell the weight of the world was on your shoulders, couldn't tell you were unhappy, you were unwell.



per sciogliere questo gelo correrò. come la dolce Virginia, come Eleanor dagli stivali consumati. sarò a Berlino e poi di nuovo a Parigi. sarò sotto le luci e poi nell'ombra. sarò l'apprendista stregone di Angelo.

I go along like nothing is wrong no need to worry too late to feel sorrow upon borrowed time.


per me stessa che credevo di non indossare più quelle scarpe, o che semplicemente, come cosa ho mangiato oggi, non ricordavo.
per me stessa che credeva di non avere più ragione di voler essere libera, e ora vuole scappare.
e ancora per me stessa. me stessa e basta.

then now there's no answers, no easy way out, take it all if you want. take it all if you want.


quando il cuore si stringe così tanto tra quello strato di ghiaccio duro, di plastica, smetto di sentirmi viva. mi salvo la vita mettendola via in un cassetto frigorifero.
e io invece la voglio la vita.

I couldn't see, it seems I don't learn or get the message. don't know how you carry it all by yourself.


correndo sempre sul legno di quelle sacre assi, trafitta dai chiodi che ho messo da sola, correrò via per le autostrade, per i campi, per i giardini. per i centri estivi, per il lungofiume, sotto il cielo grigio, azzurro, bianco di nebbia.

sorriderò solo una volta, una volta per volta.
sorriderò a quella voce che ha detto che mi avrebbe aspettato.
piangerò tante volte, ma solo una davvero.
piangerò per chi si salverà come me, da me.

how can it be. it doesn't belong, it's so not funny this vintage of violence again on parade.


e poi stringerò i pugni.
strizzerò tutto quello che ho in mano fino a farlo colare liquidi corporei,     tutti      quelli      che     conosco.


and now there's no wonder, no shelter from shame,     be     alone     if     you     want.  be alone if you want.


corro perchè se corro mi amo, e se mi amo sono viva.
se so correre, devo farlo.



if you know how to run, sweet Virginia, you should run
if you know how to play, sweet Virginia, you should play

if you know how to say, sweet Virginia, you should say




if you know how to be, be without me, you should be.     you     should     be.






martedì 30 gennaio 2007

Ho un grido dentro, soffocato, che mi preme tra le costole.
Un grido forte e acuto, disperato e tagliente.

Mi perfora le orecchie perché io da dentro lo sento.
Mi scuote l'anima e non riesco a placarlo.

Mi cucio le labbra a doppio filo.
Stringo i denti sul cuore che pulsa
e resto in silenzio.


San Martino del Carso, 30 Gennaio 2007



venerdì 19 gennaio 2007

Ricordo un Natale di tanti anni fa.
Ero stata rapita ancora una volta dalla mia concezione di Natale. Dal mio Natale intorno all'albero, quando fai a gara con il sole per alzarti prima di tutti e aprire i regali.
Il mio Natale era a casa mia, era fare un pranzo, una cena, una festa come tutti.
Invece eravamo in albergo. Quanto lo odiavo. Uno di quelli chalet enormi. Le stanza calde e i letti con i piumoni bianchi. Le finestre con le tende di trina.

Ricordo che alla mezzanotte della Vigilia era appena finita una pallida versione del "Rigoletto", mi aveva scaldata per qualche ora come il cielo nero non stava facendo. Ed è incredibile come sia nero il cielo nella notte di inverno, ma a questo arriverò dopo. Quell'unica TV accesa nella grande sala video deserta. Io nella mia poltrona proprio sotto la televisione e dietro il niente, e non so perché ma mi dava il senso di stare a casa.
A mezzanotte noi non festeggiamo. Noi a mezzanotte eravamo già a letto per svegliarci prima la mattina di Natale.
Ed io ero nella sala video, in quella serata che per la mia cultura non significa nulla.
Ed ecco i primi auguri di Natale in scatola.
"E' Natale", penso. Me ne ero quasi scordata. E sono sola con una TV.

L'albergo così silenzioso, culla di legno, da non capire se c'era più buio o silenzio.
Faceva freddo fuori. In quei giorni non volevo nemmeno sciare. Neve di ghiaccio e vento gelato mi bruciavano le guance e mi entravano dentro le mani, sotto i guanti, nelle ossa, nei piedi sotto tre paia di calzini. Troppo troppo freddo pure per la neve.

Quello che volevo dire è che ricordo. Ricordo più di tutto questo l'immagine di una finestra, alla mia destra, incorniciata in quel legno. Le stesse tende trinate di cui ho già detto e quel buio immenso di cui parlavo. Un buio impenetrabile di quelli che il vetro non ti mostra cosa nasconde nemmeno se anche nella stanza è buio.

Ed ecco... Io forse non ricordo bene la scena, posso solo immaginare di non aver dimenticato di come la mia mano ha scostato una di quelle tendine. Di aver pigiato il viso contro il vetro e di aver visto, oltre il buio, oltre il silenzio profondo, fioccare zitta la neve.

"Ed ecco il Natale". Ricordo. Ho pensato.

Per me il Natale è quella finestra nera, fredda, ghiacciata e dimenticata da dio. Contiene i mondi che solo io so generare partendo da tanto Nulla tutto insieme.

Che bello quel Natale di assoluto silenzio. L'ho festeggiato a mezzanotte, contro il mio credo, l'ho festeggiato da sola e mi sono regalata la pace totale.

E come sempre nel silenzio rifletto e poi parlo, stando in silenzio. Auguro le cose migliori, in merito un po' a tutto. Le spero.

Proprio come si addice a me.


22 Dicembre 2006 - 19 Gennaio 2007