martedì 12 agosto 2008

E' difficile tornare a comunicare quando è da tempo che preferisci serbare quei tesori chiamati idee tutti per te. E non saprei dire se ho sviluppato un istinto improvviso di condivisione o se è solo il senso di perdita che mi guida, ma credo che per riprendere a guidare si debba prima accendere il motore, per quanto complicato sia trovare la chiave giusta in quel mazzo così grosso e pesante che sono i propri metodi analitici. Poi forse si parte.
Confido nell'idea di qualche sorriso delle presenze tanto vicine quanto lontane, felici di sapere che sono più che viva, più che attiva, solo più silenziosa. Sempre più silenziosa. Ed è per loro che ci sto provando.

Ho passato un pomeriggio nella politica del mio paese. Ci sono ancora cose che mi lasciano a bocca aperta, ci sono ancora cose che mi chiedo come si possano cominciare ad affrontare, ci sono ancora assenteisti e qualunquisti, persone con pensieri labili o artefatti, ci sono ancora turbini e mulinelli incostanti di opinioni che confondono la mia, ci sono ancora verità lontanissime dall'essere assolute. Io che mi sento salva leggendo un libro solo perché mi sembra di aver scoperto chissà che tesoro segreto, salvato dalle potenze mediatiche e dalle cesoie censuratrici, scrollo la testa e riprendendo la mia cara sfiducia non appena osservo le cifre, i dati, le statistiche. La salvezza dei numeri è l'unica vaga, per quanto dubitabile, certezza che possiamo avere, a volte, quando ci perdiamo a fantasticare su come vadano davvero le cose all'interno delle tremule gelatine che strutturano l'informazione italiana.

E tra tutti questi volti, questi personaggi di cui non riesco a ricordare mai i nomi, tutti questi che fino a poco tempo fa, intrappolati tra i miei occhi e le pagine di un giornale, non erano che adulti tristi e seri, ci sono loro: gli eroi.

Gli eroi che arrivano con la verità in bocca e te la leccano sulla faccia. Gli eroi che ascolti e leggi tutto un giorno per poi ricordarti, porca puttana, che sono morti un paio di mesi fa. Gli eroi che finché parlano ti senti quasi al sicuro, pensi che tutti dopo che hanno ascoltato si saranno illuminati, pensi che una piazza, un salotto di casa con la televisione accesa, possano contenere un popolo.

E poi pensi che siamo così tanto nella merda ad affidarci ad una sola voce che, oggettivamente, non riuscirà mai a dire tutto. Perché ogni uomo ha dentro una serie infinita di ragioni e di torti. Perché nessuno ha abbastanza fiato, in questa vita vera, da urlare alla gente di svegliarsi. Di convincersi. Di formarsi. Di interessarsi. Di lottare.

Allora vi chiedo di perdonare la sconclusionatezza. Vi chiedo di perdonare l'abbandono che sembra che stia operando quando a qualche domanda non sorrido nemmeno,
guardo l'orsa maggiore,
penso a Kenshiro.

E' solo una questione di tempo, il mio archivio si va formando, la mia mente si allunga in direzioni nuove o rinnovate da vecchie che erano.
Per quanto l'ammirazione sia comoda, piacevole, rassicurante, non possiamo fidarci e confidare in quegli eroi distanti che non sono che esseri umani. Possiamo solo seguire le loro strade per guardare i loro paesaggi fino a raggiungere un posto chiamato nostro.

E da questa precarietà dei modelli che nasce non uno sconforto, ma una speranza:
se non posso avere Kenshiro che mi salva, io sarò Kenshiro.

E poi di frasi altisonanti per concludere questo ragionamento ne esistono già tante.
Vi lascio solo con i miei due cents.

 

only morons and genius
would fight a losing battle
agaist the super ego.