martedì 10 luglio 2007

odore di pesca. dove mi porta?

come faccio a sbloccare ogni lucchetto con il suono e a chiudere ogni cassetto con l'indifferenza?

e l'odore di pesca. l'odore di pesca mi porta in un posto che io ho cancellato.
e ora vago qua dentro senza capire dove sono, senza vedere i mostri che ho nascosto con cura in un giro di chiave.

ora vorrei scrivere di cose piccole.
di mani, di occhi, di sigarette.
di abbracci, di unghie.
di erba.
di gioco, di torte.

di voci.

di parole.


di dialetti.




vorrei scrivere di quell'unica tra tante. frase che mi porto dietro in un mondo che vivo tra le dita, sui tasti, nella mente.
di come mi sia rimasta attaccata, come la favola del corvo, e martelli gli occhi che la leggono con ansia di essere capita. di essere impressa per sempre.
e lo è. da sempre.
seppure ho piegato in sacchi invernali la voce che la cantava, allo scendere della prima neve.


vorrei parlare ancora dello stesso treno del cazzo.
delle stesse cazzo di cose.
delle stesse maledette stronzate importanti che mi svegliano per un attimo da tutto questo sigillare ed incartare.

vorrei scrivere. saprei farlo bene.


ma non ne ho voglia.



preferisco guardare lune blu rabbrividendo mentre sotto i denti tengo il cuore di un'aragosta viva. non andare mai a capo e disintossicarmi strizzando le mie braccia. sbattere tavole della legge sul cesso e contare i pezzi in cui si rompono. usare la parola selvaggio più volte che posso. sputare per terra e schiaffeggiare visi distanti. chiudere gli occhi e mandare a cagare la mia migliore vita appiattita contro il muro di quella villa, mentre penso alla potenza che avrebbero le mani, gli occhi, le unghie, le sigarette, gli sguardi, l'erba, le urla.
le voci.

le parole.


i dialetti.


se solo fossero descritti da me.


ma non ne ho voglia.
e sniffo pesche serrate in qualche stanza buia del mio vaffanculo.